Cultura

L’Islam che soffre

Emilio Lambiase è un architetto votato alla pace. In pieno agosto ha preso la bicicletta e violando l’embargo è arrivato in Iraq. Il Papa gli ha dato la benedizione. Ed è stato testimone di drammi

di Francesco Agresti

In bicicletta in Iraq, una delle zone più calde del pianeta, per dar sfogo al senso di solidarietà e al rispetto per la vita, quella di chi la rischia ogni giorno, o di chi cerca semplicemente di viverla. Emilio Lambiase, 46 anni, di Cava dei Tirreni, probabilmente ne ha trascorsi più sulle due ruote che con i piedi per terra. Nel tempo libero fa l?architetto, ma la passione per la bicicletta l?ha sempre avuta: a 14 anni pratica il ciclismo a livello agonistico, qualche anno più tardi è costretto a rinunciare alla sua passione per seguire gli studi all?università. Agli inizi degli anni 90 la tentazione di ricominciare prende il sopravvento, passa alla mountain bike, partecipa ai campionati regionali e nel ?95 viene convocato dalla nazionale per partecipare ai mondiali in Germania. L?anno successivo nel velodromo di Bassano del Grappa stabilisce un record del mondo pedalando per 12 ore consecutive a una media di 36,4 orari.
«Quando vado nei laboratori dell?università di Napoli», dice scherzando, «mi sento come una cavia, le mie analisi sono sempre seguite da studenti che fanno tirocinio». Sveglia la mattina alle 4 e allenamento in garage, dove ha allestito una palestra, fino alle 7, poi via nel suo studio; dopo un breve pasto riprende gli allenamenti, torna a lavoro e alle 22 di nuovo in palestra. La domenica passa 12 ore in sella. Dorme quattro, cinque ore a notte, e il pomeriggio si concede una pennichella di 5 minuti.
Non c?è da stupirsi che un uomo così, a settembre dello scorso anno, con la bicicletta abbia tracciato i confini dello stato palestinese, coprendo 600 chilometri in 30 ore filate, e sia stato ricevuto dalla moglie di Arafat, cui ha donato la bicicletta ancora sporca della polvere dei Territori. Due mesi prima, per l?anniversario della rivoluzione cubana, aveva coperto il percorso che fecero le truppe di Che Guevara e Fidel Castro. La sua ultima impresa è stata quella di attraversare, dal 12 al 24 agosto, il deserto siriano, passando il confine iracheno con medicinali e cibo, violando l?embargo.

Vita: Perché ha scelto l?Iraq?
Emilio Lambiase: Ci pensavo da tempo. Un giorno trovai un sito iracheno (www.chez. com/iraq/minute_Iraq/Martyrs.html); per accedervi si dovevano accendere candeline virtuali e osservare un minuto di silenzio per le vittime civili dei raid statunitensi e dell?embargo. Ogni mese là muoiono 4.500 civili, tra cui molti bambini, per la malattie causate dai veleni che la guerra ha lasciato.
Vita: Quali ripercussioni potrà avere sull?Iraq la tragedia che ha colpito gli Stati Uniti?
Lambiase: Non vorrei che la strage venisse interpretata come una sorta di carta bianca che autorizzi gli Usa a gestire le questioni internazionali a proprio piacimento. Se così fosse, per l?Iraq, ma non solo, le speranze di tornare alla normalità diverrebbero vane.
Vita: Come è andato il suo viaggio?
Lambiase: Prima di partire ho ricevuto gli auguri del Papa e del presidente europeo Romano Prodi, cui avevo scritto qualche settimana prima. Seguito da uno staff composto da mia moglie, i miei due figli, un medico e un meccanico, il 12 agosto sono partito da Damasco per arrivare a Palmira, una distanza di 245 chilometri a una media di 37 km orari. Appena entrato nel deserto siriano, eravamo intorno ai 54 gradi, è scoppiato il tubolare della ruota anteriore. Il 14 agosto da Palmira sono arrivato fino a Deir-ez-Zor, nei pressi del fiume Eufrate, una tappa di 221 chilometri che, grazie alla ruota lenticolare e al vento, sono riuscito a coprire alla media di 41 km orari. Poi sono arrivato a Baghdad. A 20chilometri dal confine iracheno ,a seguito di un incidente, ho subito la rottura della clavicola, ma giunto al confine l?accoglienza riservatami dagli iracheni mi ha fatto dimenticare il dolore: c?erano più di 200 persone, le autorità mi hanno messo a disposizione due ambulanze e una scorta militare, dotata di armi antiaeree ,che mi ha accompagnato fino alla capitale.
Vita: Cosa l?ha impressionata di più dell?Iraq?
Lambiase: A 100 chilometri dal confine ho visitato un rifugio per civili colpito prima da un missile, che ne ha sventrato le protezioni, e poi da un altro, che ha ucciso oltre 400 persone. Lungo la strada ho visitato uno dei tanti orfanotrofi della zona: ospitava 73 bambini con meno di sei anni che mostravano una vitalità capace di trasmettere una gioia di vivere commovente. Questi centri sono gestiti con pochi mezzi ma con una grande umanità, le condizioni igieniche sono impeccabili, la coordinatrice era considerata da tutti come una mamma, e lei ricambiava questo affetto con una dedizione completa. Le abbiamo chiesto se si potevano adottare a distanza dei bambini; il permesso ci è stato accordato a condizioni che fossero adottati tutti e 73. Qualche chilometro più avanti, abbiamo visitato una fabbrica di fosfati distrutta dai bombardamenti perché i militari statunitensi sospettavano producesse armi chimiche. Il paradosso è che queste fabbriche sono state costruite con l?aiuto di tecnici occidentali, per cui era semplice sapere quale fosse la loro vera destinazione. L?Iraq è una discarica a cielo aperto per armamenti radioattivi e chimici; le vittime sono migliaia e la situazione continua a peggiorare.
Vita: In che condizioni sono gli ospedali?
Lambiase: Ho assistito a scene che non possono umanamente essere accettate. Sono privi delle più elementari strutture sanitarie, non hanno medicinali, le uniche cure che i medici praticano sono quelle del loro calore umano. Ci sono migliaia di bambini affetti da leucemia causata dai veleni degli armamenti che gli americani hanno disseminato sul territorio. L?embargo costringe questi bambini a una lenta agonia, il loro destino è segnato, per loro c?è solo sofferenza e morte, in quelle condizioni non hanno alcuna speranza di sopravvivere.
Vita: Ci sono zone dove i segni della guerra sono stati cancellati?
Lambiase: A Baghdad sono rimaste solo poche tracce dei bombardamenti, è una città rimessa a nuovo.
Vita: Che ricordi le ha lasciato il deserto?
Lambiase: Lungo il percorso ho incontrato dei beduini. La loro semplicità, il loro stile di vita basato sulle cose essenziali mi ha fatto ricordare la semplicità dei miei primi anni. Prima di me, mia madre aveva messo al mondo altri 21 figli. Anch?io sono cresciuto avendo a disposizione le cose essenziali, sono stato l?unico che ha potuto proseguire gli studi grazie al sacrificio dei miei genitori.
Vita: La ricerca dell?essenziale l?ha trasferita anche nella sua professione?
Lambiase: Sì, certo. Venticinque anni fa, da studente, ho partecipato a una campagna di scavi nello Yemen del Nord. I locali che erano con noi per mangiare raccoglievano le bucce della mela che noi scartavamo. Sono episodi impossibili da dimenticare. Con le scuole della mia città vorremmo realizzare una sorta di adozione con protagonisti i bambini per far capire loro che anche una semplice matita può avere un gran valore, che quello che per loro conta poco in altre zone può permettere di studiare. Nella mia professione di architetto, ho una concezione della casa come bene primario, non come bene di consumo. In una abitazione metto lo stretto necessario, tutto ciò che è in più lo considero un furto. Un furto di acqua, di terra, e di risorse a chi è dall?altra parte del mondo. Non mi sognerei mai, per esempio, di progettare una casa con tre bagni.
Info: Un ponte per Baghdad
Telefono: 06 6780808

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